sabato 13 febbraio 2016

37 Il pianeta Terra: l'atmosfera e il clima

L’ATMOSFERA E IL CLIMA

In una lezione precedente (vedi IL TEMPO METEOROLOGICO) si è già detto che cos’è l’atmosfera, come è composta e come essa determina il clima sulla terra e, di conseguenza, la flora e la fauna. In questa lezione alcuni concetti saranno ripresi per descrivere ciò che succede sull’intero nostro pianeta a causa della presenza dell’atmosfera.
L’atmosfera, vale a dire lo strato di gas che circonda la Terra, è costituito in prevalenza di azoto (78%) e ossigeno (21%); l’ossigeno non era presente prima che in acqua comparissero i primi vegetali, oltre due miliardi di anni fa. Esso infatti è prodotto dai vegetali che utilizzano l’acqua e il carbonio, presente nell’anidride carbonica, per produrre le sostanze necessarie alla loro crescita, i carboidrati: durante questo processo (la fotosintesi clorofilliana) essi liberano nell’atmosfera l’ossigeno presente nell’anidride carbonica.

Foresta nel Borneo (nello stato del Brunei)

Una parte dell’ossigeno liberato dalle piante nell’atmosfera terrestre salì fino ad uno strato superiore, la stratosfera, a circa 25 chilometri dal suolo, dove, per una serie di processi chimici, si accumulò sotto forma di ozono. Questo gas riduce il passaggio delle radiazioni ultraviolette, che, se presenti in forti quantità, distruggono i tessuti degli organismi, rendendo impossibile ogni forma di vita. La costituzione di uno strato di ozono permise quindi la comparsa di esseri viventi sul nostro pianeta anche al di fuori dell’acqua.
La composizione dell’atmosfera è stata nei secoli modificata dall’azione dell’uomo. Nello strato inferiore si ha oggi, per effetto delle attività umane, un sensibile aumento dell’anidride carbonica e di altre sostanze nocive, prodotte dalla combustione del carbone, del petrolio e del gas naturale. La maggioranza di queste sostanze è prodotta dagli U.S.A. e dall’Europa, che lentamente stanno adottando nuove tecnologie in grado di diminuire l’inquinamento ambientale. Nei Paese di nuova industrializzazione (Cina, India, Sudest asiatico) tali tecnologie non sono applicate e ciò provoca il rapido aumento delle emissioni inquinanti in Asia.

Smog in una strada di Pechino: negli ultimi anni l’inquinamento atmosferico in alcune città della Cina è diventato particolarmente allarmante per la salute della popolazione

Anche la distruzione delle foreste favorisce la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, perché vi sono sempre meno vegetali in grado di utilizzarla nella fotosintesi, producendo ossigeno.
Le attività umane influiscono anche sullo strato di ozono. Questa forma dell’ossigeno è infatti instabile e può perciò essere eliminata, attraverso reazioni chimiche diverse, se entra in contatto con altri elementi: lo strato di ozono viene danneggiato dalle emissioni causate dal notevole traffico automobilistico e dai diversi gas prodotti dalle industrie o utilizzati dall’uomo (come i clorofluorocarburi, indicati generalmente come CFC, che sono dei composti di carbonio e fluoro, che vengono usati in molte bombolette spray e negli impianti frigoriferi).
Fin dagli anni Settanta del XX secolo sopra l’Antartide e da alcuni anni anche sopra l’Artide, si è verificata una forte riduzione dello strato di ozono (essa viene detta comunemente “buco nell’ozono”); se tale riduzione continuasse, essa avrebbe gravi conseguenze per ogni forma di vita. Perciò molti governi hanno sottoscritto accordi internazionali per vietare l’uso industriale di alcune sostanze responsabili del “buco nell’ozono”: attualmente, infatti, la produzione di CFC è scesa dell’85% rispetto al 1986 e si prevede che entro il 2050 si possano ripristinare i livelli di ozono precedenti alla scoperta del fenomeno.

Un’efficace immagine per sintetizzare gli effetti della distruzione dell’ozono sul pianeta

L’atmosfera diviene sempre meno densa e presenta caratteristiche diverse man mano che ci si allontana dalla superficie terrestre: per questo gli scienziati l’hanno suddivisa in una serie di strati, di cui quelli inferiori (la troposfera e la stratosfera) sono i più importanti per la vita sulla Terra. La troposfera in particolare è l’unico strato atmosferico in cui è presente l’acqua, in forma solida, liquida e aeriforme. Qui si verificano i diversi fenomeni meteorologici che condizionano la vita di ciascuno di noi.

Nuvole sulla foresta della Malesia: il vapore acqueo che costituisce le nuvole è presente quasi esclusivamente nella troposfera


LE TEMPERATURE

 L’atmosfera e la superficie terrestre sono riscaldate dai raggi del Sole, che forniscono l’energia da cui dipendono tutti i fenomeni meteorologici ed ogni forma di vita sul pianeta.
L’atmosfera riflette e assorbe il 22% delle radiazioni solari, prima che esse raggiungano la superficie terrestre; un altro 23% circa viene riflesso e assorbito dalle nuvole, quando sono presenti, perciò quasi metà dell’energia solare viene dispersa e non arriva sulla superficie del pianeta.
Essendo la Terra sferica, i raggi solari arrivano sulla superficie terrestre con un’inclinazione diversa. Nella zona equatoriale quando è mezzogiorno essi sono perpendicolari al terreno: si dice allora che il Sole si trova allo zenit. Man mano che ci si allontana dall’equatore, i raggi solari arrivano al suolo con un’inclinazione maggiore e si distribuiscono su un’area più ampia: lo si può dimostrare con un semplice esperimento, fatto puntando il fascio di luce di una torcia su una superficie (anche piana) e inclinandolo progressivamente. La distribuzione della radiazione solare su un’area più ampia fa sì che le temperature presenti al suolo e nell’atmosfera siano minori.



La radiazione solare globale (cioè l’insieme di tutte le radiazioni che giungono al suolo) varia non solo in base alla latitudine, ma anche nel corso dell’anno, a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre: infatti la rotazione della Terra avviene attorno a un asse che è inclinato di circa 66° rispetto al piano dell’orbita (eclittica). Questo significa che ogni emisfero per metà dell’anno viene illuminato dal Sole per un maggior numero di ore ogni giorno e il Sole appare più alto all’orizzonte.
Nell’emisfero boreale il giorno ha una durata massima nel solstizio d’estate (22 giugno) ed una durata minima nel solstizio d’inverno (22 dicembre). Nell’emisfero australe la situazione è opposta. Il 21 marzo e il 23 settembre si hanno invece i due equinozi (di primavera e d’autunno), in cui la durata del giorno e quella della notte sono entrambi di 12 ore su tutta la superficie terrestre. La diversa durata del dì e della notte fa sì che le temperature variano, nel corso dell’anno, in base alle stagioni, che sono sfasate nei due emisferi: quando nell’emisfero settentrionale è estate, in quello meridionale è inverno e viceversa.

L’inclinazione dei raggi solari sulla Terra nei giorni dei due solstizi

I paralleli sui quali il Sole si trova allo zenit nei giorni dei solstizi sono i tropici (del Cancro a nord e del Capricorno a sud), entrambi a 23°27’ a Nord e a Sud dell’equatore.
Quelli oltre i quali il Sole non appare all’orizzonte per una parte del periodo invernale e rimane invece al di sopra dell’orizzonte 24 ore al giorno per una parte del periodo estivo, sono i circoli polari (artico e antartico), entrami a 66°33’ Nord e Sud.
Questo fenomeno spiega l’importanza di questi quattro paralleli (i tropici e i circoli polari) e il fatto che in tutte le carte geografiche essi sono rappresentati in maniera diversa dagli altri paralleli, cioè con una linea tratteggiata anziché continua.



L’area compresa tra i tropici viene chiamata zona equatoriale o torrida o anche intertropicale (più raramente – e erroneamente – tropicale, in quanto la vera zona tropicale è quella a cavallo dei tropici); le aree comprese tra i tropici e i circoli polari sono dette zone temperate (boreale e australe); quelle oltre i circoli polari sono le zone polari o glaciali (artica a nord, antartica a sud).
Poiché la temperatura dipende dalla radiazione solare, essa diminuisce durante la notte, quando la Terra perde calore. Questo calore, però, non viene completamente disperso, perché una parte consistente (fin oltre il 90% se vi sono nuvole) è trattenuta dall’atmosfera, in particolare dal vapore acqueo e dall’anidride carbonica: l’atmosfera esercita infatti un effetto simile a quello ottenuto in una serra (si chiama infatti effetto serra), lasciando passare gran parte delle radiazioni solari in arrivo sulla Terra, ma trattenendo e rimandando verso il basso quelle riflesse dalla superficie dei continenti e degli oceani.


Da quasi mezzo secolo gli scienziati hanno più volte segnalato che l’aumento della quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, causato da diverse attività umane e in particolare dall’uso di combustibili fossili da parte delle industrie e dei mezzi di trasporto, sta portando ad un aumento delle temperature: nell’ultimo secolo l’aumento è stato di +0,8° e il 2015, con lo 0,9° in più rispetto alla media del XX secolo, è stato l’anno più caldo degli ultimi 136 anni, cioè da quando la misurazione delle temperature sulla Terra avviene in modo affidabile.
L’effetto serra sta provocando profondi cambiamenti nel clima del pianeta, favorendo lo scioglimento dei ghiacci polari, l’innalzamento del livello dei mari, l’inondazione di ampi tratti costieri e l’estendersi della desertificazione (fenomeno che colpisce in modo particolare l’Africa, dove negli ultimi 50 anni 650.000 km², ossia più di due volte la superficie dell’Italia, di terreno un tempo produttivo, si sono trasformati in deserto).
L’effetto serra è aggravato dalla distruzione delle foreste, perché le piante utilizzano una parte dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera.

Deforestazione e conseguente desertificazione ad Haiti

La consapevolezza, ormai globale, di questi gravi problemi ambientali ha portato alla realizzazione di diversi negoziati e trattati internazionali: tra questi il protocollo di Kyoto (dal nome della città giapponese in cui è stato firmato), che è entrato in vigore nel 2005 e impone ai Paesi industrializzati di trovare ogni mezzo attuabile per contenere l’effetto serra. Purtroppo, malgrado numerose ratifiche del protocollo, non molto è stato fatto concretamente.
La diversa radiazione solare nel corso dell’anno e nel corso di un giorno porta gli studiosi a registrare quella che viene chiamata escursione termica: essa può essere annua (o stagionale) e misura le differenze di temperatura tra il mese più caldo (di solito luglio) e il mese più freddo (di solito gennaio), oppure diurna (o giornaliera) e misura le differenze termiche tra il dì e la notte.

Le temperature sulla Terra nei due periodi principali per registrare l’escursione termica annua: il mese di gennaio (in alto), il mese di luglio (in basso)

Pur essendo le escursioni molto diverse da zona a zona, se ne possono tracciare dei dati medi particolarmente significativi. Nella cartina seguente si può vedere l’escursione termica nel nostro pianeta e notare come essa sia maggiore nell’emisfero settentrionale, dove è più ampia la superficie terrestre; al contrario la maggiore presenza degli oceani nell’emisfero meridionale aumenta l’effetto mitigatore dell’acqua sulle temperature e dunque qui l’escursione termica è minore.


I VENTI

La temperatura dell’atmosfera determina le differenze di pressione dell’atmosfera stessa: l’aria calda pesa meno di quella fredda e crea di conseguenza un’area di bassa pressione, mentre l’aria fredda, essendo più pesante, crea un’area di alta pressione.
Le differenze di pressione dell’atmosfera determinano a loro volta la formazione dei venti, i quali si muovono dalle aree ad alta pressione (aree anticicloniche) verso quelle a bassa pressione (aree di depressione). Poiché la superficie terrestre nelle zone polari è più fredda che nella fascia equatoriale, a livello del suolo i venti dovrebbero soffiare dai poli all’equatore. Però la direzione dei venti è determinata anche dalla rotazione della Terra, la quale avviene ad una certa velocità, mentre l’atmosfera si muove ad una velocità minore. Ciò provoca una deviazione dei venti verso destra nell’emisfero boreale, verso sinistra in quello australe. Numerosi altri fattori, che incidono sulla temperatura e di conseguenza sulla pressione, rendono la circolazione dei venti molto più complessa e la presenza di montagne, ostacolando i movimenti orizzontali dell’aria, provoca il formarsi di correnti verticali.

Nuvole nel cielo sopra le Montagne Rocciose canadesi: la complessità del sistema nuvoloso presente in questa foto fa capire la complessità della circolazione dei venti nell’atmosfera

Tra i venti, quelli locali che si manifestano periodicamente (ad esempio i vari tipi di brezze) interessano aree limitate. Ben altra importanza hanno i venti che soffiano con direzione regolare percorrendo grandi distanze: essi contribuiscono a determinare il clima di una regione e costituiscono i fenomeni principali della circolazione atmosferica.
Nella fascia tropicale, tra i 25° ed i 30° di latitudine nord e sud, si trovano vaste aree anticicloniche, in cui vi è totale assenza di nubi e perciò di precipitazioni. Da qui soffiano da est verso ovest venti regolari, gli alisei. Nel tratto iniziale del loro percorso essi sono del tutti privi di umidità, perciò le regioni su cui soffiano non ricevono precipitazioni e sono desertiche (come nel Sahara nell’emisfero settentrionale o nel Kalahari in quello meridionale). Soffiando sull’oceano gli alisei si caricano però di umidità, che può scaricarsi sotto forma di pioggia, quando i venti raggiungono le coste orientali dei continenti nella fascia intertropicale: per questo motivo sulle coste occidentali dei continenti, vicino alle aree di alta pressione da cui gli alisei hanno origine, le precipitazioni sono scarsissime, mentre alla stessa latitudine sulle coste orientali, dove gli alisei arrivano dopo aver attraversato l’oceano, le precipitazioni sono abbondanti. Qui si possono verificare anche perturbazioni violente, come gli uragani o cicloni equatoriali.

Le due foto sono state scattate in due località alla stessa latitudine (a destra in Florida, a sinistra in Marocco), entrambe vicino alla costa; è evidente l’effetto completamente diverso degli alisei

Nella fascia intertropicale soffiano anche altri venti, i monsoni, presenti esclusivamente nella parte sud-orientale dell’Asia. Nei mesi estivi essi soffiano dall’Oceano indiano verso il continente, nei mesi invernali hanno direzione opposta. I monsoni estivi, spesso accompagnati da perturbazioni violente, portano precipitazioni particolarmente abbondanti: le aree interessate dai monsoni sono le più piovose del mondo. I monsoni invernali, invece, sono privi di umidità e determinano una stagione asciutta.

Stagione delle piogge nel Laos

Si è sempre pensato che i monsoni dipendessero dal diverso riscaldamento dell’oceano e della terra nel corso dell’anno: in estate il continente si riscalda più rapidamente del mare, la pressione diminuisce e perciò i venti soffiano dal mare verso la terra; in inverno il mare si raffredda più lentamente, mentre sulla terra si formano aree di alta pressione da cui i monsoni soffiano in direzione dell’oceano. Oggi molti studiosi ritengono inesatta questa teoria, che non giustifica uno spostamento così intenso di masse d’aria: i monsoni vengono invece considerati semplicemente degli alisei deviati verso nord in estate, perché in India si creano aree di pressione particolarmente basse per le alte temperature.
Comunque sia, i monsoni sono importantissimi per le zone in cui sono presenti: oltre che un fattore fondamentale per l’agricoltura (poiché la periodicità di questi venti può variare anche di qualche settimana, dall’anticipo o dal ritardo del loro arrivo dipende tutta la stagione agricola, ossia la carestia o l’abbondanza di raccolti per milioni di persone), i monsoni sono responsabili di violente inondazioni, che colpiscono in particolare il Bangladesh, con migliaia di vittime i danni ingentissimi per la popolazione.

Contadine dello Stato dell’Orissa (India) al lavoro in una risaia

Inondazione nel Bangladesh

Alle latitudini medie, tra i 35° e i 70°, soffiano i venti occidentali, che si dirigono quindi da ovest verso est. In tutta questa fascia i venti sono assai meno regolari e le caratteristiche climatiche sono di gran lunga più variabili, soprattutto nell’emisfero settentrionale, dove la presenza di masse continentali molto estese (con rilievi, pianure, foreste, praterie, mari interni, eccetera) introduce numerosi elementi di differenziazione. I confini di questa fascia variano a seconda delle stagioni, per cui le aree più vicine ai tropici possono rientrare nei mesi estivi nella fascia a circolazione intertropicale, quelle più vicine ai poli rientrano nei mesi invernali nella fascia polare.
Oltre i 70° di latitudine nord e sud, dalle calotte polari venti freddi e poveri di umidità soffiano verso le latitudini medie.

Un’immagine satellitare sugli Stati Uniti d’America rivela le perturbazioni provocate dai venti

La presenza di aree cicloniche nella fascia intertropicale può causare la formazione di uragani (chiamati anche tifoni o cicloni). Essi si formano esclusivamente nelle aree intorno ai tropici, nei mesi estivi, quando il mare raggiunge temperature di 25°-26°. Pur toccando isole e coste, gli uragani non si spingono mai in profondità all’interno dei continenti: quando passano su mari a temperatura inferiore o sulla terraferma, la loro energia si indebolisce ed infine si esaurisce. Si tratta comunque di fenomeni di una violenza impressionante, con venti che possono soffiare anche oltre i 200 km orari (nel 2005 l’uragano Katrina ha colpito le coste statunitensi della Louisiana ad una velocità di 280 km/h).

New Orleans (U.S.A.) dopo il passaggio dell’uragano Katrina

I danni provocati dagli uragani sono assai gravi, specialmente se colpiscono centri abitati: essi possono radere al suolo gli edifici costruiti in legno o in lamiera, rovesciare automobili in terra e imbarcazioni in mare, sradicare pali elettrici con conseguente blackout per interi paesi, provocare l’innalzamento del livello del mare e quindi inondazioni.

Devastazione nelle Filippine provocata dal tifone Haiyan (novembre 2013)

Le aree più colpite sono le Filippine, le coste del Mar della Cina, del Mar dei Caraibi e degli Stati Uniti meridionali. Secondo alcuni studiosi le aree interessate a questi fenomeni si stanno estendendo oltre i tropici, a causa dell’aumento delle temperature sulla Terra. La pericolosità degli uragani è tale, che esistono attualmente servizi di avvistamento (anche impiegando i satelliti artificiali), in modo da individuare per tempo la loro formazione e adottare le misure d’emergenza (tra cui l’evacuazione della popolazione) nelle regioni colpite.

Immagine satellitare del tifone Haiyan sulle Filippine (novembre 2013)

Di portata molto più limitata, ma anch’essi distruttivi, sono i tornado, vortici a forma d’imbuto, formati da goccioline d’acqua, polvere e rottami, che girano su se stessi con una velocità che può superare i 300 chilometri all’ora e normalmente percorrono distanze limitate (5-10 km), ma a volte possono superare anche i 100 km.
Quando si formano sul mare e portano con sé una notevole quantità di spruzzi d’acqua, vengono chiamati trombe marine; pericolose quanto gli uragani e i tornado, le trombe marine sono difficili da prevedere, poiché si formano molto rapidamente.
Gli scienziati non sono ancora riusciti a spiegare l’origine dei tornado: si ritiene che il loro formarsi sia causato dalla presenza di aree particolarmente instabili, in cui una massa d’aria calda e umida sia sovrastata da una massa d’aria fredda e secca, ma che dipenda anche dal rilievo, perché sono più frequenti nelle pianure ai piedi delle maggiori catene montuose, quali l’Himalaya e le Montagne Rocciose.

Un tornado nel Colorado (U.S.A.)

LE PRECIPITAZIONI

Il movimento dei venti provoca lo scontro tra masse d’aria a temperature diverse, che è la causa fondamentale delle precipitazioni.
Se il vento soffia regolarmente nella stessa direzione, il fronte di una perturbazione (ossia il margine nel quale l’umidità atmosferica si condensa e precipita) si sposta anch’esso con regolarità, entrando progressivamente in contatto con nuove masse d’aria a temperatura diversa, maggiore o minore, e causando quindi nuove precipitazioni, più o meno consistenti.

Il fronte di una perturbazione sulla Cordigliera delle Ande

La distribuzione delle precipitazioni sulla terra varia in base alla latitudine e alla stagione, come avviene per le temperature, la pressione atmosferica e i venti. La fascia equatoriale è caratterizzata da precipitazioni quasi sempre abbondanti (spesso oltre i 2.000 mm annui), distribuite nel corso dell’anno, ossia con temporali pressoché quotidiani, oppure concentrate in due stagioni, spesso di durata e intensità diverse.

Temporale sulla foresta equatoriale del Camerun

Più a nord e più a sud si estendono invece le fasce tropicali, dove soffiano gli alisei: qui le precipitazioni sono scarsissime, spesso sotto i 100 mm annui, e sono presenti i grandi deserti.
Oltre i tropici, nella fascia tra i 30° e i 60° di latitudine, le precipitazioni sono molto variabili, a causa della disposizione dei continenti, dei mari e delle catene montuose: si va da valori inferiori ai 100 mm nell’Asia centrale, a punte di quasi 2.000 mm nell’America nord-orientale. In questa vasta zona le precipitazioni sono relativamente regolari nel corso dell’anno, ma vi sono forti differenze tra le regioni costiere (con precipitazioni soprattutto invernali) e quelle interne (con precipitazioni prevalentemente estive). In queste ultime regioni e sulle catene montuose più elevate si hanno anche precipitazioni nevose, frequenti soprattutto oltre il 50° parallelo Nord, dove si verificano per più di 40 giorno all’anno (America settentrionale, Europa centro-orientale e Asia settentrionale).
Nella fascia polare, infine, le precipitazioni sono scarsissime in inverno e aumentano solo nei mesi estivi, quando l’evaporazione è maggiore. In queste regioni le precipitazioni hanno spesso valori inferiori ai 300 mm annui, ma quasi sempre sono a carattere nevoso, e poiché le temperature sono basse, se non rigide, lo strato di neve rimane sul suolo per mesi diventando ghiaccio.

Veduta aerea della Siberia innevata

LE ZONE CLIMATICHE

Il clima varia da regione a regione per molteplici fattori; ciò rende impossibile un discorso generale sulle zone climatiche della terra. Solo per semplificare, quindi, è possibile individuare sul nostro pianeta vaste regioni in cui le condizioni climatiche sono abbastanza simili per alcuni aspetti, ricordando però che all’interno di ogni regione esistono variazioni locali anche notevoli.
Va considerato, inoltre, che non esiste un’unica classificazione dei climi, perché gli studiosi danno un’importanza diversa agli elementi che determinano il clima. Qui di seguito si è utilizzata la classificazione proposta dai due studiosi tedeschi Carl Troll e Karlheinz Paffen.
Oltre i due circoli polari troviamo un clima di tipo polare o subpolare, caratterizzato da temperature bassissime (anche al di sotto di -30° in inverno, meno di +10° in estate), con precipitazioni scarse, più frequenti nei mesi estivi. Qui il terreno può essere ricoperto da un manto nevoso o da uno strato di ghiaccio anche per tutto l’anno e vi è una forte variazione stagionale nella durata del giorno.
A sud del circolo polare artico (non esiste un corrispondente nel circolo polare antartico, per la mancanza di terre emerse) vi sono ampie regioni interessate da un clima boreale moderatamente freddo, più o meno influenzato dall’oceano: esso è caratterizzato da temperature medie basse, al di sotto di -20° in inverno, tra i 10° e 20° in estate. Anche in queste regioni il manto nevoso rimane per molti mesi e vi è una forte variazione stagionale della durata del giorno, ma dove l’oceano esercita una maggiore influenza, l’escursione termica annua e la rigidità dell’inverno sono attenuate.

Sulle sponde del fiume Lena (Russia asiatica) cresce la taiga

Dove invece il clima è di tipo continentale (ossia lontano dal mare) si hanno temperature medie a gennaio al di sotto dei -30°, con punte minime che sono i valori più bassi registrati nell’emisfero boreale (-77,8° a Ojmjakon, in Siberia, nell’inverno del 1938). Le precipitazioni sono scarse, anche se più abbondanti rispetto alla fascia polare.
Scendendo di latitudine, al di sotto della zona boreale e fino al parallelo di 40°, troviamo una zona temperata fresca, presente soprattutto nell’emisfero settentrionale e solo parzialmente in quello meridionale. Qui le temperature non raggiungono mai valori estremi; l’escursione termica è però accentuata, perché vi è una forte differenza stagionale, legata alla diversa durata del giorno. Le precipitazioni, causate dalle nuvole trasportate dai venti occidentali, sono in forma di pioggia o di neve e sono più frequenti nelle aree esposte all’influenza dell’oceano. Anche l’escursione termica subisce l’influenza oceanica, infatti è maggiore nelle zone continentali.

Paesaggio nel Parco nazionale di Yosemite (California - U.S.A.)

La zona subtropicale, estesa tra i 40° di latitudine e i tropici (sia nell’emisfero settentrionale, sia in quello meridionale), presenta climi più caldi, con minori variazioni stagionali sia nelle temperature, sia nella durata del giorno. La presenza degli alisei riduce le precipitazioni, che si manifestano quasi esclusivamente sotto forma di pioggia e vicino ai tropici sono estremamente scarse, potendo anche non verificarsi per uno o più anni: in queste zone si ha allora un clima di tipo desertico, caratterizzato da una forte escursione termica diurna.

Nel deserto del Kalahari (Namibia)

La zona equatoriale posta tra i due tropici presenta un clima caldo, con ridotte differenze stagionali sia nelle temperature, sia nelle precipitazioni. Queste aumentano man mano che dai tropici (dove possono essere molto scarse) ci si avvicina all’equatore.
Le regioni montuose hanno temperature più basse e precipitazioni più abbondanti rispetto alle regioni pianeggianti vicine. Benché per il freddo intenso che lo caratterizza il clima di alta montagna sia simile a quello polare o subpolare, esso se ne distingue nettamente perché la durata del giorno è soggetta a variazioni annue minori, che dipendono esclusivamente dalla latitudine e non dall’altitudine. Di conseguenza, l’escursione termica annua è molto ridotta, mentre quella diurna può essere fortissima, perché durante la notte la dispersione di calore è rapida e intensa. Inoltre le precipitazioni sono di solito maggiori.

Paesaggio sulle Montagne Rocciose canadesi





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