venerdì 19 febbraio 2016

38 Il pianeta Terra: la biosfera - Gli ambienti marini

LA BIOSFERA

Temperature, precipitazioni e venti determinano le condizioni climatiche di una regione; queste, a loro volta, permettono la formazione di ambienti naturali molto diversi gli uno dagli altri, come la steppa o la taiga, il deserto o la foresta equatoriale.
Se il clima è relativamente uniforme in un’area molto vasta, questi ambienti naturali possono estendersi su ampi territori della superficie terrestre. All’interno di ogni ambiente naturale, o ecosistema, si trovano diverse specie viventi: le specie vegetali sono in grado di produrre attraverso la fotosintesi clorofilliana le sostanze di cui hanno bisogno per crescere e sono perciò dette produttori; le specie animali possono procurarsi queste sostanze solo cibandosi di piante o di altri animali e sono perciò dette consumatori.

La vegetazione della taiga e le zebre africane costituiscono specie viventi assai diverse: entrambe, però, rendono il pianeta Terra diverso da tutti gli altri pianeti conosciuti

L’esistenza di ogni specie dipende dalle condizioni ambientali: un organismo è in grado di sopravvivere solo in certi tipi di suolo, entro determinati limiti di temperatura, di intensità di luce, di umidità, di salinità. La vita di ogni specie dipende anche da quella delle altre specie presenti in quell’ambiente: alcune costituiscono il cibo di cui l’organismo si nutre; altre sono invece predatori da cui bisogna difendersi, o parassiti, che possono portare malattie e morte; altre ancora, ad esempio gli alberi, possono fornire un rifugio; altre infine sono concorrenti, perché si nutrono dello stesso cibo, oppure scelgono gli stessi luoghi di riproduzione.
In genere ogni specie vivente occupa all’interno dell’ambiente un posto preciso, detto nicchia ecologica, che è definito da tutte le sue relazioni con le altre specie viventi e con l’ambiente fisico.
L’immagine seguente è un esempio di nicchia ecologica: riguarda un faggio, con alcune delle diverse specie viventi che vi possono trovare nutrimento, riparo, condizioni ideali di vita.



La nicchia di una specie non coincide mai completamente con quella di un’altra specie, anche se può sovrapporsi in parte: alcune piante o animali possono ad esempio costituire un cibo per due specie diverse, che però si nutrono anche di altre piante o animali, differenti.
Le relazioni tra le diverse specie viventi sono perciò molto complesse, ma all’interno di un ecosistema esiste un equilibrio, che tende a ristabilirsi se viene modificato, ad esempio per l’aumento del numero di esemplari di una specie. In alcuni casi però l’equilibrio può essere alterato definitivamente: ad esempio una specie vivente viene distrutta completamente da un parassita, da un predatore o dall’uomo; oppure le condizioni climatiche cambiano, provocando la scomparsa di alcune specie e la comparsa di altre. Se crea allora un nuovo equilibrio naturale: questo si è verificato molte volte nella storia della vita sulla Terra, sia in aree ristrette, sia su tutto il pianeta.
Le specie viventi presenti sulla Terra oggi sono assai diverse da quelle che popolavano il pianeta milioni di anni fa: molte specie sono scomparse, altre si sono evolute fino a modificarsi profondamente, mentre solo alcune si sono conservate con poche trasformazioni per decine di milioni di anni.

Il varano di Komodo, che vive in Indonesia, è uno degli ultimi grandi sauri che un tempo popolavano la Terra

Questi cambiamenti sono avvenuti nel corso di centinaia di milioni di anni (o anche di miliardi di anni), in un lento processo di evoluzione. Tuttavia si sono avuti nella storia della Terra periodi in cui si è verificata un’estinzione di massa, per motivi che gli scienziati non sono attualmente in grado di spiegare se non in via teorica: circa 250 milioni di anni fa scomparve il 60% delle specie viventi, 65 milioni di anni fa circa il 50%, tra cui tutti i dinosauri. Molti scienziati suppongono che tali estinzioni siano dipese da eventi catastrofici, quali ad esempio la disintegrazione di un meteorite sulla terra o un’eruzione vulcanica di dimensioni eccezionali: tali eventi potrebbero aver prodotto una nuvola di pulviscolo che, rimanendo per anni nella stratosfera, avrebbe ridotto le radiazioni solari, provocando un raffreddamento del clima. È certo che il clima cambiò più volte nella storia della Terra, come testimoniano anche le glaciazioni.

Immagine ricostruttiva di una glaciazione nell’emisfero settentrionale

Quando si verificarono queste trasformazioni, alcune specie sopravvissero perché riuscirono ad adattarsi alle nuove condizioni di vita, altre invece si estinsero completamente, altre ancora furono avvantaggiate dai mutamenti, ad esempio perché scomparvero i loro predatori o le specie con cui erano in competizione, e si diffusero.
L’adattamento alle nuove condizioni di vita è effetto della selezione naturale, per cui all’interno di una specie vivente gli individui più adatti a sopravvivere riescono a raggiungere l’età adulta e si riproducono, generando figli che hanno caratteristiche simili alle loro: la scimmia più abile nell’arrampicarsi, il ghepardo più veloce nell’inseguire la preda, l’insetto che ha il colore e la forma dei vegetali tra cui vive, hanno maggiori possibilità di nutrirsi e sfuggire ai predatori. Invece gli individui meno adatti a sopravvivere vengono facilmente eliminati già da piccoli: lo stambecco meno resistente al freddo morirà durante l’inverno, il leone meno abile nella caccia sarà denutrito e malato, la pianta commestibile priva di spine o di altre difese sarà facilmente divorata dagli erbivori.

A sinistra un Tropidoderus childrenii (un insetto mimetizzato tra l’erba), può sfuggire ai predatori; a destra un leone ha raggiunto una gazzella più debole delle altre

La selezione naturale ha permesso l’evoluzione delle specie viventi, uomo compreso: tra gli ominidi e poi tra gli uomini l’elemento più importante per la selezione naturale fu l’intelligenza, che determinava la loro capacità di adattarsi all’ambiente, sfruttandone le risorse.
L’immenso numero di specie viventi presenti sulla Terra viene indicato con il termine biodiversità. Attualmente le specie classificate sono circa un milione e mezzo, ma alcuni studiosi stimano che ve ne siano in effetti da 30 a 100 milioni. Essenziale per il mantenimento degli equilibri naturali e degli ecosistemi, la biodiversità biologica conosciuta è negli ultimi decenni molto diminuita, a causa dell’aumento della popolazione umana e del suo insediamento in ogni regione terrestre, nonché di certi suoi sistemi produttivi, in particolare l’uso massiccio di concimi e antiparassitari chimici nell’agricoltura. È stato calcolato che ogni anno scompaiono da 10.000 a 20.000 specie diverse.
A causare la diminuzione della biodiversità sono due altre attività umane sempre più frequenti:
-          la scelta di un numero sempre più ristretto di specie vegetali e animali per le coltivazioni e l’allevamento (quelle più adatte – o ritenute tali – alla distribuzione e al commercio)
-          la deforestazione, specialmente delle foreste tropicali, le quali, pur ricoprendo solo il 5% del pianeta, ospitano la metà circa della biodiversità terrestre.

Le foreste equatoriali (come quella amazzonica in Perù nella foto) sono ricche di specie vegetali e animali che ancora non conosciamo

Esaminiamo ora gli ambienti naturali più significativi presenti sul pianeta.

GLI AMBIENTI MARINI

Nelle acque degli oceani vivono numerose specie vegetali e animali, alcune delle quali si spingono fino nelle fosse oceaniche, ad oltre 11.000 metri di profondità. All’interno degli oceani la distribuzione delle specie dipende soprattutto dalla profondità, dalla temperatura e dalla salinità dell’acqua. Va comunque tenuto presente che, nonostante questa varietà di condizioni dell’acqua, gli organismi marini sono assai meno diversificati di quelli terrestri: in acqua non esistono limiti alla diffusione delle specie viventi, mentre le terre emerse sono divise in isole e continenti, separati gli uni dagli altri, e presentano al loro interno rilievi e depressioni, zone umide e deserti, tutti elementi che contribuiscono alla biodiversità.
La flora e la fauna marine sono costituite da due tipi di organismi differenti:
1-      quelli che vivono nella colonna d’acqua e sono detti pelagici (dal greco pélagos = mare)
2-      quelli che vivono sul fondo marino e sono detti bentici (dal greco bénthos = profondità)

Sui fondali del Mar Rosso (Egitto)

Tra le specie pelagiche vi sono piccoli organismi che vivono sospesi nell’acqua e vengono trascinati dalle correnti: si tratta del plancton, che si suddivide in fitoplancton (vegetale) e zooplancton (animale). Il fitoplancton è essenziale per la vita nelle acque marine: è formato da alghe composte da una sola cellula, di dimensioni minuscole, con un diametro di solito inferiore al mezzo millimetro. Il fitoplancton costituisce il nutrimento dello zooplancton e di molte specie di pesci e di altri organismi.
Il plancton si trova soprattutto dove il mare è meno profondo, in particolare lungo le piattaforme continentali: qui si trovano perciò le maggiori concentrazioni di organismi viventi e le principali zone di pesca.

Il fenomeno della bioluminescenza del plancton nelle acque atlantiche del Messico

Accanto al plancton vivono altri organismi, di dimensioni maggiori, che sono in grado di spostarsi liberamente, anche contrastando le correnti: è il caso dei pesci e dei mammiferi marini, quali le balene o i delfini.

Una balena emerge dalle acque oceaniche al largo del Messico

Sul fondo marino vivono organismi diversi da quelli presenti nella colonna d’acqua. Vicino alla costa, dove il mare è meno profondo vi si trovano vegetali in grado di compiere la fotosintesi clorofilliana, come le alghe, e numerosi animali che si nutrono di alghe o di altri consumatori; invece oltre i 30 metri di profondità la fotosintesi non può avvenire per mancanza di luce e gli organismi sono quasi esclusivamente consumatori.

Le alghe kelp, nelle acque della California (U.S.A.) hanno creato una foresta sottomarina

Il cibo di cui si nutrono è perciò quello prodotto nelle acque superficiali o nelle aree costiere, ed in questo caso è costituito in prevalenza da detriti organici che scendono in profondità, oppure è formato dagli altri organismi presenti. Molti di questi animali vivono nascosti tra i detriti del fondo marino, dove trovano cibo e sfuggono più facilmente ai predatori. Altri rimangono stabili, fissati alle rocce, perché la caduta di detriti e la presenza di correnti fornisce loro sempre nuovo cibo: questi animali formano colonie anche molto numerose e, non potendo sfuggire ai predatori perché non sono in grado di spostarsi, posseggono difese chimiche, ad esempio sostanze urticanti, o parti coriacee, che formano gusci di protezione.

Fondo marino nell’Oceano Indiano presso le Isole Mauritius

Le coste costituiscono un ambiente naturale diverso dagli altri per la presenza contemporanea di elementi terrestri e marini. Lungo le coste rocciose le formazioni più importanti, per l’estensione e per la ricchezza di forme di vita, sono le scogliere coralline, che si sviluppano per oltre 190 milioni di chilometri e ospitano una fauna ricchissima. I coralli sono organismi animali che sono avvolti da una struttura protettiva molto solida, formata da carbonato di calcio. Essi vivono esclusivamente in acque calde, a temperature tra i 25° e i 29°, e poco profonde, a meno di 10 metri dal livello dell’acqua. I coralli formano scogliere, che a volte possono costituire lunghe barriere: la grande barriera corallina australiana, sul bordo della piattaforma continentale, ha una lunghezza di 2.200 chilometri.

Splendidi coralli nella Grande Barriera australiana

Le formazioni coralline si trovano oggi anche molto lontano dalle coste, perché dopo l’ultima glaciazione il livello degli oceani si è innalzato per lo scioglimento dei ghiacci ed ha sommerso le aree continentali meno elevate. Le formazioni coralline, presenti vicino alla costa, si sono così trovate a profondità maggiori, a cui non avrebbero potuto vivere; molto spesso nuovi coralli sono cresciuti sugli strati inferiori, riuscendo a rimanere in acque superficiali, mentre la parte inferiore, ormai morta, si trasformava in rocce sedimentarie. Altre scogliere coralline, invece, si sono sviluppate sulla cima di montagne sottomarine, formando isole coralline, chiamate atolli, assai numerosi nell’Oceano Pacifico.

Veduta aerea di un atollo in Australia

Le coste sabbiose sono caratterizzate da una forte instabilità: esse infatti tendono a evolvere nel corso del tempo per l’accumulo di detriti e per gli effetti dell’erosione e si trasformano a un ritmo relativamente rapido.
Tra gli ambienti presenti lungo le coste sabbiose degli oceani troviamo le lagune, gli stagni salmastri (cioè di acqua salata), dove prevale una vegetazione di erbe e arbusti, e le paludi a mangrovie, caratterizzate da una vegetazione arborea.
Lo sviluppo della vegetazione sul fondo sabbioso provoca una trasformazione della costa, perché ostacola i movimenti dell’acqua, in particolare le maree, favorendo l’ulteriore accumulo di detriti sul fondo marino, che progressivamente si alza, mentre la vegetazione diviene più rigogliosa. Essa rimane ancora sommersa, almeno in parte, nei periodi di alta marea, quando all’interno dello stagno si possono trovare pesci, mentre durante le basse maree numerosi mammiferi possono spingersi in questo ambiente per cibarsi. Uccelli, rettili, anfibi e scimmie vi vivono regolarmente.
Non tutte le coste sabbiose sono molto ricche di vegetazione: sono presenti anche vaste piane fangose povere di flora e di fauna.

Palude a mangrovie in Giamaica

L’uomo modifica gli ambienti oceanici ed in particolare quelli più vicini alle coste: molti centri abitati sorgono in riva al mare e sono responsabili di inquinamento e di degrado, ad esempio con la cementificazione di lunghi tratti costieri. Gli incidenti petroliferi o lo scarico in mare dei bidoni contenenti rifiuti tossici hanno effetti devastanti sull’ambiente marino. La pesca, che fornisce cibo ed altri prodotti utili per l’alimentazione animale e le industrie, ha impoverito le riserve di pesce in molti mari. La caccia alle balene, da cui si ricava carne, olio e materiali utilizzati dalle industrie del sapone, ha portato questi cetacei sull’orlo dell’estinzione, ma tante altre specie marine sono minacciate allo stesso modo. Persino i coralli: negli ultimi 40 anni è andato perduto oltre l’80% dei coralli nel Mar dei Caraibi e il riscaldamento globale ha provocato nel 2015 lo sbiancamento (ossia la perdita di colore, dovuta a un’alterazione dell’ecosistema marino) del 38% dei coralli in tutto il mondo. È del 2016 la notizia che alcuni biologi statunitensi sono riusciti a far nascere in laboratorio coralli di una specie a rischio tramite fecondazione artificiale, capaci di sopravvivere una volta reintrodotti nel loro habitat e di riprodursi naturalmente; ciò permetterebbe il ripopolamento delle barriere coralline. Se, a volte, la scienza riesce a darci buone notizie sul futuro della biodiversità terrestre, non sempre i governi riescono a fare altrettanto.

Un sub nel fondo marino, tra pesci e coralli, dell’isola di Curaçao (Mar dei Caraibi):
vale la pena difendere un ambiente come questo?



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